Maria Liccione Borziani - RICORDI D’AFRICA, Vita coloniale in Somalia
ROMANZO
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Introduzione
Una donna elegante, di carattere aperto e affettuoso, ma nell'intimo modesta, senza arie da gran dama.
Alta , slanciata, coi capelli di un argenteo azzurro, un viso molto bello anche nella vecchiaia, la mia mamma si chiamava semplicemente Maria, Maria Liccione.
Ma quando, in seguito ad una caduta, portava il bastone col pomo d'argento, io la chiamavo " la Contessa Clara", per l'aspetto distinto da nobildonna.
Eppure, per una vita aveva fatto la mamma, l'insegnante e l'affettuosissima nonna.
Mi aveva aiutato ad allevare quattro figli (Alessandro, Paolo, Anna Maria ed Elena) che seguiva giornalmente con l'ansia della nonna iperprotettiva come una chioccia.
Veniva da una famiglia del Meridione, il padre nell'esercito, la sua mamma educata da due vecchi zii sacerdoti.
Ultima di tre sorelle era la piu' coccolata, pur educata severamente, come usava ai suoi tempi e per di più da genitori meridionali.
Avvenne che a sedici anni conobbe il futuro marito; fu un grande amore, tutto per lettera, perche' lui, figlio di modesti contadini, aveva dovuto emigrare in Africa, come geometra, per guadagnarsi la vita. E dall'Africa era venuto a prenderla per sposarla a ventitre anni e laggiu', in Somalia se l'era portata nel 1937, nell" Affrica" orientale : il primo viaggio di mia madre.
La' io nacqui nel 1938, ma fui riportata a tre mesi in Italia, perche' c'erano sentori di guerra.
Fu, quella, l'unica esperienza di mia madre all'estero e, se pur breve, fu intensamente vissuta nella sua mente e nel suo cuore, tanto che l'aveva comunicata a me e a mia sorella, in modo indelebile, tanto da diventare parte di noi e della nostra infanzia.
La nostra famiglia, almeno io cosi' la vivevo, era "speciale" perche' aveva alle sue radici l'Africa dei racconti esotici, la terra dei baobab e degli elefanti, delle iene e dei coccodrilli.
Sul tavolino del salotto c'erano due elefantini di mogano con le zanne d'avorio e la mamma portava sempre al dito un anello africano d'argento brunito, in cui, al posto della pietra, c'era uno scatolino per il profumo o....il veleno (cosi' le avevano raccontato).
Anche la soffitta di casa nostra aveva i misteri dell'Africa e noi due sorelline, quando a otto o dieci anni, si ha voglia di avventure, salivamo in soffitta con la vecchia chiave di ferro pesante ed entravamo in un mondo incantato: la' c'era il baule dell'Africa, con le etichette strane, odoroso ancora di canfora e spezie, dentro c'erano le pelli di dik dik, qualche arazzo e piccoli oggetti di artigianato, che ci affascinavano.
Ma la scoperta piu' esaltante fu il pacco di lettere che il babbo aveva scritto alla mamma durante il fidanzamento: lo trovammo frugando sotto il cassetto del como' dei genitori.
Cominciammo ad aprire le lettere ingiallite, scartando i reportage dall'Africa e soffermandoci sui "Mio amore" "Mia amata".
A tavola non sapemmo resistere a ripetere queste frasi con aria volutamente romantica.
Fu come una bomba: mio padre si alzo', prese il pacco di lettere e le buttò nella stufa. Mia madre restò amareggiata, erano piu' resoconti di vita africana che non segreti d'amore: ne portiamo ancora il rimorso.
Mio padre parlava poco delle sue esperienze africane e solo quando lo sollecitavamo; ci aveva raccontato dello scampato pericolo di quando si era trovato solo, senza fucile, circondato dalle iene o quando aveva adottato il leoncino Simba o la scimmietta Dedda.
Cosi' tra babbo, mamma e bambine c'era questo legame misterioso, forse inconscio che faceva della nostra famiglia qualcosa di esotico, pur nella normalita' della vita di tutti i giorni.
Ma erano i racconti della mamma che ci avevano inculcato nel profondo la vita dell'Africa, come se noi l'avessimo veramente vissuta.
E i racconti erano cosi' precisi, con le stesse parole, come un tempo le nonne raccontavano ai propri figli e questi ai nipoti.
Poi i recenti episodi della guerra in Somalia (mio padre era già morto) avevano profondamente addolorato la mamma e cosi', guardando per televisione la cattedrale di Mogadiscio devastata e il mercato, progettato da suo marito e ora distrutto, sospirava con le lagrime agli occhi e ai nipoti ricordava la sua breve, ma intensa esperienza africana.
Fu cosi' che, già ad ottant'anni, l'anno precedente alla sua morte, avvenuta l'8 gennaio del 1995, mise per iscritto, in un quaderno di scuola, il diario intitolato "Ricordi d'Africa" dedicandolo ai nipoti .
Mi è morta vicino, improvvisamente, una notte. Eravamo sole io e lei, cosi come sole, lontano dalla famiglia, eravamo al momento della mia nascita, in un Ospedale militare africano: un'alfa e un'omega.
Otto mesi dopo la sua morte, la giovane nipote, mia figlia Anna Maria, si sposava con un giovane libanese, in una chiesetta della montagna reggiana. Dopo pochi giorni, col marito è andata ad abitare a Beyrut per viverci e lavorarci.
Come già la nonna, Anna Maria ha varcato, se pure in aereo, il Mar Mediterraneo, ha sorvolato l'isola di Creta e ha cominciato la sua vita di giovane sposa, sola, in un paese affascinante, ma appena uscito da una guerra. Nella valigia mia figlia ha voluto il diario della nonna e la sua fotografia , là sulle bianche dune dell'Africa, quasi un motivo di coraggio per un'esperienza che quasi si ripeteva.
E cosi' l'Africa e' rimasta in famiglia.
Giovanna Borziani Bondavalli
Reggio Emilia, dicembre 1995.
la curatrice:
Giovanna Borziani Bondavalli, Laureata presso l’Università degli Studi di Bologna in Pedagogia e Filosofia, si è abilitata in Lettere che ha insegnato per più di trent’anni nelle varie scuole reggiane. Giovanna Borziani Bondavalli e’ la figlia di Maria Liccione Borziani. Ha curato il diario di sua madre, lasciandolo così come lei lo aveva scritto. Ha solo aggiunto le fotografie scattate un tempo da suo padre in Somalia. È storica di argomenti reggiani e socio effettivo della “Deputazione di Storia Patria delle antiche Provincie Modenesi”