
Giuseppe Dossetti, I valori della Costituzione,
Indice
PREFAZIONE
Questo quaderno, messo insieme con "intelletto d'amore" da un editore conterraneo ed amico di Dossetti, raccoglie gli interventi pronunciati da don Giuseppe in tema di Costituzione nell'anno che corre tra la primavera 1994 e la primavera 1995. Un anno un po' speciale per la Costituzione, fatta oggetto, di "minacce palesi o occulte", e conseguentemente un po' speciale per don Dossetti, che ha avvertito il dovere di rompere il suo riserbo, di lasciare occasionalmente il suo raccolto eremo per levare alto e forte il suo monito affinché si approntasse una difesa attiva e creativa della Costituzione stessa.
I testi qui proposti sono così limpidi e intensi - come sono sempre, del resto, le pagine del nostro Autore - da sconsigliare ogni pretesa di anticiparne, riassumendolo, il senso. Un'operazione inutile per testi tanto nitidi e, insieme, maldestra, considerata la loro densità.
Piuttosto, come dicevo, una sede familiare come questa autorizza qualche piccola confidenza da parte di chi, come me, in quanto presidente dell'Associazione "Città dell'uomo", è stato in qualche modo associato al messaggio raccolto in queste pagine.
L'incipit organico di esse è infatti rappresentato da quella meditazione dal titolo: "Sentinella, quanto resta della notte?" tenuta a Milano, il 18 maggio 1994, su iniziativa di "Città dell'uomo", nel ricordo del suo fondatore Giuseppe Lazzati, nell'ottavo anniversario della morte. Così pure è nel contesto di tre, convegni promossi da "Città dell'uomo" a Milano, Bari e Napoli che don Dossetti è tornato sull'argomento "La Costituzione della Repubblica oggi. Principi da custodire, istituti da riformare". A questi contributi si sono poi aggiunti quello, programmatico, tenuto a Monteveglio il 16 settembre 1994 in occasione del primo incontro nazionale dei neonati comitati per la Costituzione, da lui ideati e tenuti a battesimo, nonché quello pronunciato all'Università di Parma il 26 aprile 1995.
Raccoglierò, dunque, le suddette confidenze intorno ai seguenti interrogativi:
perché ho messo prontamente a disposizione di don Dossetti le modeste risorse di "Città dell'uomo";
cosa ho inteso del messaggio dossettiano sulla Costituzione;
che bilancio trarre da questa "operazione culturale" condotta insieme, che si è espressa soprattutto nei convegni itineranti per l'Italia (forse vi sarà un'ulteriore tappa a Cagliari);
cosa ho capito, nell'occasione, di don Dossetti, cosa ho potuto scorgere della sua affascinante e un po' misteriosa personalità;
cosa ne ho ricavato per me, per la mia vita, per la mia maturazione.
1. Quando, alla vigilia del 25 aprile dello scorso armo, Dossetti scrisse al Sindaco di Bologna lanciando l'idea dei comitati di difesa della Costituzione - insidiata dall'allora maggioranza di destra -, sentii che "Città dell'uomo" era chiamata in causa per almeno tre ragioni. La prima: il nostro fondatore Giuseppe Lazzati fu amico fraterno di Dossetti, compagno di tante battaglie, anch'egli Costituente; finché visse, sempre fermamente convinto che la Costituzione, i suoi valori, la sua architettura, il suo spirito e lo stesso metodo dialogico della sua elaborazione rappresentassero una bussola, un riferimento esemplare. Seconda ragione: l'ancoraggio ai valori democratici incorporati nella Costituzione è impegno statutario (art.3) e programmatico per "Città dell'uomo". Terzo: secondo Dossetti, compito dei comitati per la Costituzione - così egli si è espresso con semplicità ed efficacia a Monteveglio - è quello di "insegnare a ragionare", cioè l'esatto contrario dell'azione svolta dai media ("creare suggestione").
Come non avvertire stretta affinità con il lazzatiano, accorato appello a "pensare politicamente" e ad educare a questo (è la missione stessa di "Città dell'uomo")?
Mi chiesi dunque: quale peculiare contributo avrebbe potuto dare la mia associazione, piccola ma - non foss'altro per il carisma del fondatore -, capace di far convergere energie qualificate, studiosi di fama, nel nostro caso costituzionalisti e amministrativisti tra i più accreditati?
La mia risposta fu la seguente: non tanto dar vita all'ennesimo comitato per la Costituzione in Milano, quanto raccogliere studiosi intorno a Dossetti, così da elaborare culturalmente il suo monito a una difesa della Costituzione efficace in quanto aggiornata e creativa. Il sottinteso - lo confesso - era che l'uno (Dossetti) avesse bisogno degli altri (gli studiosi) e viceversa, e che appunto il mix di carisma e competenza, appello morale e scienza giuridica, difesa intransigente e riformismo saggio, avrebbe sortito buoni risultati.
2. Quale il cuore del messaggio che ne è scaturito? Potrei formularlo con il titolo sbarazzino e provocatorio con cui annunciammo il convegno di Milano (erano i giorni più caldi del braccio di ferro tra Quirinale e polo di destra, dopo che Berlusconi era stato rimosso da Palazzo Chigi): "Con la Costituzione non si scherza!". Sia perché è il prodotto di una stagione eccezionale, irripetibile, drammatica, ("l'evento globale" di una guerra senza precedenti nella storia) e, di conseguenza, propizia alla consensuale recezione di "valori transtemporali" e universalistici. Sia perché oggi difetta vistosamente un tale fecondo humus etico e culturale, e dunque non si danno le condizioni spirituali - nel Paese e nelle sue classi dirigenti - per attendere a un'impresa costituente. Al contrario, è proprio nelle transizioni concitate, confuse, conflittuali (la nostra palesemente lo è) che si fa più preziosa la bussola di una Costituzione "provata". Di più: si deve respingere con fermezza l'idea di una Costituzione "usa e getta", la sua riduzione a fragile contratto o addirittura (alla Gianfranco Miglio) a bottino dei vincitori. Essa, in coerenza con il miglior costituzionalismo democratico contemporaneo, è piuttosto un patto di convivenza, un quadro (largo) di principi, regole e garanzie tendenzialmente stabile e condiviso, entro il quale poi liberamente si sviluppa la dialettica tra indirizzi e forze politiche antagonisti.
Di qui il valore della rigidità costituzionale e la difesa intransigente, anzi il rafforzamento dell'art. 138, che disciplina le procedure aggravate di revisione. In questo quadro, ritocchi e adeguamenti ragionevoli sono possibili ed anche utili. Specie con riguardo al rafforzamento dell'esecutivo, del regionalismo, di altri organi di garanzia, anche a motivo della nuova regola elettorale a dominanza maggioritaria.
3. Come già osservavo, l'operazione mi pare riuscita. Non mi illudo che le insidie siano state definitivamente fugate. La partita potrebbe presto riaprirsi. Molto dipenderà dai rapporti di forza che si determineranno dopo elezioni che è facile prevedere non troppo lontane. E tuttavia il clima è obiettivamente cambiato in tema di riforme costituzionali. Ha scritto di recente Stefano Rodotà:
Sarà la spinta che viene dalla necessità di riflettere sui cinquant'anni dalla Liberazione, sarà il ritorno di una capacità di analisi che sembrava perduta, certo è che da un po' di settimane della Costituzione si parla in modo meno approssimativo... Si può parlare di inversione di tendenza? Non lo so, e non azzardo nessuna previsione. Ma non mi sembra cosa da poco che della Costituzione si torni a parlare come di un elemento essenziale per l'oggi, e non solo come della testimonianza di una stagione ormai lontana. Agli occhi dell'opinione pubblica, infatti, la Costituzione si presentava ormai solo come un testo da cambiare, o addirittura da cancellare, e non come un comune punto di riferimento, l'appiglio indispensabile per quel "patriottismo costituzionale" del quale i popoli hanno bisogno proprio nei momenti di crisi.
E' troppo supporre che, a produrre tale positivo mutamento di rotta, abbia contribuito il seme gettato da don Dossetti e dai nostri convegni itineranti?
Qui è doveroso fare un elogio alla comunità scientifica dei costituzionalisti: essi, in larga maggioranza, non si sono sottratti alla responsabilità di vigilare contro la possibile dissipazione del patrimonio costituzionale. E' bello, una tantum, dare atto che, a questo riguardo, nell'anno che è alle nostre spalle, non si è prodotta la sindrome del tradimento dei chierici. Nell'organizzare i convegni in giro per l'Italia, abbiamo coinvolto i migliori costituzionalisti, ed essi - mi piace rimarcarlo - hanno partecipato di buon grado e su base eminentemente volontaristica, fornendo così il proprio contributo alla difesa attiva della Costituzione nel segno di una responsabilità professionale, culturale e civile. Essi davano persino l'impressione di essere gratificati nel partecipare al progetto.
A questo sentimento e alla connessa generosa disponibilità a cooperare, certo non è estranea la forza attrattiva del carisma del nostro carissimo don Dossetti.
4. La collaborazione con don Giuseppe mi ha aperto qualche spiraglio sulla sua suggestiva figura, già oggetto di controversie in sede storiografica. Intanto, mi è parso di intendere la ragione della sua attivazione a difesa della Costituzione. Egli ha avuto la percezione che fossero in gioco beni/valori meta-politici o "transtemporali" che, come tali, autorizzano o addirittura prescrivono la mobilitazione degli stessi uomini di Chiesa. Magari anche in surroga di voci non altrettanto vigorose e sollecite.
Questa parentesi pubblica dell'ultimo Dossetti getta luce sulla più generale interpretazione del nesso organico, ancorché dialettico, che egli stabilisce tra riforma della Chiesa e qualità della vita pubblica-politica, nonché - soggettivamente - sul modo con il quale Dossetti le ha raccordate nella sua vita.
Due questioni storiograficamente dibattute e che ci conducono alla soglia del mistero di una vita singolarissima. E' difficile stabilire cosa stia più a cuore al Nostro - se la riforma della Chiesa o quella della politica - per la ragione che egli, pur avvertito delle distinzioni di scopo e di metodo tra i due campi di attività, si ispira al fermo convincimento di un'intima, vitale connessione tra loro.
Ferma restando la consapevolezza del primato assiologico e pratico della qualità cristiana della vita rispetto all'umanizzazione della polis e, in concreto, del carattere pregiudiziale e condizionante della novità di vita dei cristiani in Italia rispetto al compito di fare buona la vita civile e politica del nostro Paese.
Del resto, anche soggettivamente, lo stesso accidentato percorso vocazionale di Dossetti (prima laico, poi sacerdote, infine religioso) non pregiudica il senso di una riconoscibile coerenza: la progressiva scoperta e dedicazione a ciò che è più fondamentale e decisivo, nel segno della essenzializzazione/concentrazione, sempre però con lo scopo di dare senso/valore alla vita comune (anche politica) degli uomini.
Perché il cristianesimo o è per la salvezza intera degli uomini, o non è cristianesimo.
5. Infine, la più intima delle confidenze. Con Dossetti la mia frequentazione è recente. Non ho con lui la familiarità, il filiale rapporto che ebbi la grazia di sperimentare con Giuseppe Lazzati. Eppure, quasi con commozione, a tratti, mi è parso di provare per lui e con lui gli stessi sentimenti, le stesse coinvolgenti passioni ideali per le cause grandi, quelle che danno colore e sapore alla vita, che fanno in certo modo dolci anche i sacrifici e l'impegno. Diversissimi per natura e vocazione, Dossetti e Lazzati vibrano per gli stessi ideali e - in misura davvero impressionante - convergono nel giudizio sulla vita religiosa e politica.
Dossetti, in questo scorcio di tempo, mi ha dato la gioia e il conforto di risentire l'eco di parole delle quali, dopo la morte di Lazzati, sentivo acutamente la mancanza. So bene che, sul piano dell'impianto teologico e culturale, tra i due si danno sensibili differenze (si pensi solo al rigoroso maritainismo di Lazzati, sul quale Dossetti eccepisce). Ma tra loro si riscontra una stretta affinità su di un punto decisivo: quello di essere cristiani tutti d'un pezzo e, come tali, uomini liberi della libertà del Vangelo, capaci di levare fuori dal coro la propria voce sempre limpida, franca, coraggiosa. In una parola, don Giuseppe mi ha fatto il dono di sperimentare di nuovo la gioia rara di poter dare una piccola mano a un grande maestro, contribuendo a far sì che la sua parola risuonasse più largamente.
Franco Monaco